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LEGITTIMAZIONE DELL’AGENZIA PER LA RISCOSSIONE DI RICHIEDERE LA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE: SUSSISTE SEMPRE? 

Il presente, seppur breve, elaborato prende spunto dall’ordinanza della suprema corte del 22.06.2023 (N. 17884) con cui i Giudici di legittimità hanno stabilito che l’istanza di definizione agevolata dell’esposizione tributaria, presentata ritualmente dal contribuente, non priverebbe l’Agenzia delle Entrate della legittimazione a richiederne il fallimento: ma è davvero così?

La tematica affrontata dall’ordinanza in commento, e gli esiti cui la stessa è pervenuta, generano in capo al cultore del diritto uno specifico interrogativo, ovvero se appare corretta l’interpretazione offerta dalla Corte in ordine al compendio normativo di riferimento ovvero se la conclusione raggiunta possa essere automaticamente richiamata anche in costanza delle più recenti discipline di agevolazione del debito tributario (id est, la c.d. rottamazione quater).

Il tema centrale dell’ordinanza in commento muove dal disposto di cui all’art. 1 del Decreto Legge 148/2017 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili) che non prevede affatto la perdita della legittimazione dell’Agenzia delle Entrate a richiedere il fallimento del debitore a seguito della presentazione della domanda di definizione agevolata: i commi 5 e 6 del predetto articolo 1, invero, dispongono che l’agente della riscossione non possa intraprendere o proseguire l’esecuzione individuale.

Se questo è l’impianto normativo, dunque, non si vede perché l’agente della riscossione possa in seguito pur sempre richiedere il fallimento (ora liquidazione giudiziale), che altro non è se non una esecuzione concorsuale o universale, assumendo l’esistenza di un proprio (ma inesistente) credito attuale. 

Ad avviso di chi scrive pare, però, che nell’ordinanza sia sfuggito un dato determinante: se è preclusa la possibilità di iniziare e proseguire l’azione esecutiva ciò dipende, probabilmente, dalla “inattualità” della pretesa ovvero dalla sua stessa inidoneità a configurare un credito pretendibile; in buona sostanza, assumerebbe un tratto stravagante l’argomento secondo il quale, pur non potendo l’agenzia agire in executivis, possa poi richiedere il fallimento o la liquidazione giudiziale del debitore, e ciò sol perché non è espressamente precluso dalla norma.

Per non raggiungere conclusioni dal tratto così singolare, basti esaminare quanto statuito, in relazione al tema de quo, dal Consiglio di Stato, che, in merito agli effetti della rateizzazione o dell’istanza di accesso alla definizione agevolata previste dal compendio normativo di riferimento, ha ritenuto realizzarsi la novazione dell’originario debito tributario portato dalla Agenzia delle Entrate-Riscossione: “la rateizzazione si traduce in un beneficio che, una volta accordato, comporta la sostituzione del debito originario con uno diverso, secondo un meccanismo di stampo estintivo-costitutivo, che dà luogo ad una novazione dell’obbligazione originaria. L’ammissione alla rateizzazione […] implica la sostituzione dell’obbligazione originaria a seguito dell’insorgenza di un nuovo rapporto obbligatorio…”  Se tratta di una vera e propria “novazione”, per altro oggettiva (art. 1230 c.c.), nonché assentita dalla stessa agenzia per la riscossione, non si comprende come possa l’agenzia richiedere la dichiarazione di insolvenza sulla base della non più esistente pretesa tributaria.

Il risultato interpretativo del Consiglio di Stato pare maggiormente confermato nell’impianto della procedura c.d. “Rottamazione-quater” prevista per le cartelle 2000-2022 (art. 1, commi da 231 a 252, L. n. 197/2022), che impone un rilevante sforzo “burocratico” da parte dei soggetti coinvolti (a titolo esemplificativo, invio della comunicazione di accoglimento della domanda, contenente l’ammontare complessivo delle somme dovute a titolo di definizione agevolata, la scadenza dei pagamenti in base alla soluzione rateale indicata in fase di presentazione della domanda di adesione, i moduli di pagamento precompilati, l’informazione per richiedere l’eventuale domiciliazione dei pagamenti)

Stante il compendio normativo sopra indicato, ritenere che l’Agenzia per la riscossione resti legittimata a richiedere la dichiarazione di insolvenza del debitore, pur dopo la presentazione della istanza di definizione agevolata e in assenza di qualsiasi presupposto impeditivo, pare essere una evidente forzatura del dato normativo.

In via ulteriore, si evidenzia altresì come – per quanto riguarda la più recente disciplina di settore – nel caso di adesione alla definizione agevolata, la dichiarazione relativa implica la rinunzia del debitore ai giudizi pendenti aventi ad oggetto i carichi ai quali si riferisce la dichiarazione medesima, con conseguente inammissibilità sopravvenuta degli eventuali atti impugnatori (ciò, a conferma della sostanza “novativa” della definizione). Se tanto vale per il contribuente, ciò incide anche sulla pretesa tributaria che, a seguito della presentazione dell’istanza di adesione, non è più pretendibile. Ma se non esiste più il debito, in ragione della dichiarazione di accesso alla procedura agevolata (il contribuente non è più inadempiente), non sussiste neppure il titolo creditorio (originario) in ordine al quale è richiesta la sentenza di fallimento (o di liquidazione giudiziale). In materia, allora, resta evocabile l’art. 6 l. fall. (ora art. 37, comma 2, CCII) con la conseguenza che una eventuale legittimazione (sopravvenuta) può intervenire solo a seguito di inadempimento della proposta ed assentita rateizzazione.

Il risultato cui è pervenuta l’ordinanza in commento pare dunque opinabile sotto molteplici angolazioni,

rischiando peraltro di condurre a distorsioni interpretative che si riflettono “a cascata” nella giurisprudenza di merito.

Avv. Alessia Schiavo – avvschiavo@casaeassociati.it



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