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LA REGISTRABILITÀ DEL PAY-OFF E DELLO SLOGAN PUBBLICITARIO QUALE MARCHIO

Secondo la Corte di Cassazione n. 37697 del 23 dicembre 2022 possono essere registrati, a determinate condizioni, lo slogan pubblicitario e il pay-off, ovvero la breve frase solitamente posizionata al di sotto del marchio di un’azienda, che la rende riconoscibile.

Con il termine pay-off, si intende solitamente una frase breve, posizionata al di sotto o vicino  al marchio aziendale che rende il brand maggiormente riconoscibile. Tramite il pay-off l’azienda esplicita la propria identità e riassume i valori che la contraddistinguono, cercando di rendersi attraente, interessante e soprattutto immediatamente riconoscibile. 

Il pay-off è quindi uno degli strumenti principali nel processo di sviluppo e diffusione del brand aziendale. Può essere definito come una sorta di slogan pubblicitario, sebbene non sia legato a una specifica campagna pubblicitaria ma sia un segno distintivo che di solito accompagna l’azienda nel corso di tutta la sua storia o quantomeno per un lungo periodo.

Volendo citare alcuni dei pay-off più famosi, non si può non menzionare il famosissimo “Just Do It” di Nike e l’altrettanto noto “I’m lovin it” di Mc Donald’s. Ve ne sono molti altri, anche italiani, che possono essere ricordati come “Che Mondo Sarebbe senza Nutella”, “Think Different” di Apple, “Per tutto il resto c’è Mastercard” o ancora “Dove c’è Barilla c’è Casa”.

Come visto, il pay-off è composto da poche parole, deve essere semplice da leggere, ricordare, scrivere e pronunciare. La principale caratteristica del pay-off è quella di farsi ricordare e di determinare un’immediata associazione al marchio e conseguentemente all’azienda.

Ciò posto, ci si chiede se il pay-off al pari del marchio denominativo o del marchio figurativo che contraddistingue l’azienda possa essere legalmente registrato quale segno distintivo.

Diciamo subito che a livello internazionale tale facoltà è stata riconosciuta in relazione al pay-off di Nike, “Just Do It”, che conta oltre un centinaio di registrazioni a livello internazionale e a “I’m lovin it” di Mc Donald’s, anch’esso registrato a livello internazionale in molti paesi.

Tuttavia, è necessario sottolineare che non sempre il pay-off è legalmente registrabile come marchio.

Recentemente, per esempio il Tribunale dell’UE con sentenza del 30 giugno 2021 ha rigettato in appello la domanda di registrazione del marchio figurativo “goclean” proposta da una società italiana produttrice di prodotti da bagno, in particolare per la classe “cassette di scarico per WC; tazze da gabinetto [WC]; impianti di distribuzione di acqua”.

Appare opportuno dare conto delle motivazioni della decisione che chiariscono le ragioni del rigetto della domanda di registrazione, stante la carenza di carattere distintivo:

41 – È infatti sufficiente, per constatare l’assenza di carattere distintivo, rilevare che il marchio contestato indica al consumatore una caratteristica del prodotto relativa al suo valore commerciale che, senza essere precisa, deriva da un’informazione a carattere promozionale o pubblicitario che il pubblico di riferimento percepirà in primis in quanto tale, piuttosto che come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti.

42 – Orbene, nel caso di specie, il pubblico di riferimento non avrà bisogno di fare alcuno sforzo interpretativo per comprendere la locuzione «go clean» come un’espressione che incita all’acquisto e che enfatizza l’attrattività dei prodotti di cui trattasi, rivolgendosi direttamente ai consumatori e invitandoli ad acquistare prodotti che offrano loro una maggiore pulizia e una migliore igiene”.

In altri termini, secondo i Giudici comunitari ai fini della registrazione quale marchio, il pay-off non deve essere banale e/o scontato, limitandosi a fornire basilari informazioni a carattere promozionale e pubblicitario, ma deve indurre il consumatore a uno sforzo interpretativo al fine di coglierne il significato, circostanza che conseguentemente lo caratterizza quale segno distintivo.

Per quanto riguarda specificamente l’ordinamento interno, risulta interessante la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 37697/2022 depositata il 23.12.2022, relativa alla richiesta di registrazione quale marchio della locuzione “la tua pelle merita di essere trattata bene” da parte di una società attiva nel settore farmaceutico e della cosmesi.

Volendo riepilogare brevemente l’iter processuale che portava alla sentenza della Corte di Cassazione, precedentemente a tale pronuncia l’Ufficio Italiano Marchi e Brevetti aveva respinto la domanda di registrazione avanzata dalla società, rilevando che l’espressione “la tua pelle merita di essere trattata bene” non possedeva i requisiti di capacità distintiva necessari per la registrazione essendo non idonea a distinguere i prodotti e servizi dell’impresa che richiedeva la registrazione rispetto a quelli di imprese terze.

Il provvedimento dell’UIBM veniva impugnato dalla società innanzi alla Commissione dei Ricorsi la quale, oltre a rigettare i motivi di impugnazione in rito formulati dalla ricorrente, nel merito confermava il giudizio che aveva portato al diniego di registrazione da parte dell’UIBM, evidenziando che il segno rientrava nella categoria degli slogan commerciali/pubblicitari ed era privo di qualsiasi collegamento con l’imprenditore che pretendeva di farne uso esclusivo.

Avverso tale pronuncia la società proponeva ricorso per cassazione che veniva deciso con la richiamata sentenza n. 37697/2022 del 23.12.2022.

La sentenza risulta interessante poiché la Corte formula una precisa ricostruzione giuridica dei profili che delimitano l’oggetto della registrazione del marchio richiamando l’art. 7 CPI in combinato disposto con il successivo art. 13 del medesimo codice, focalizzando l’attenzione sul requisito della capacità distintiva del segno, al fine di essere qualificabile come marchio registrabile. Secondo la Corte il marchio costituisce, per definizione, un segno distintivo dell’imprenditore che lo usa, differenziando i prodotti e servizi da lui offerti da quelli offerti dai concorrenti, e proprio questa caratteristica giustifica l’esclusiva del suo utilizzo. Come tutti i segni distintivi, esso favorisce la formazione e il mantenimento della clientela, consentendo al pubblico, e in particolare ai consumatori, di distinguere, tra i vari operatori economici e di operare le conseguenti scelte con consapevolezza.

La Corte, quindi, venendo al caso specifico, richiama la giurisprudenza comunitaria in merito alla possibilità di registrare come marchio slogan pubblicitari, evidenziando come tale giurisprudenza si collochi in perfetta sintonia con gli argomenti sopra evidenziati.

Con riferimento a marchi composti da segni o indicazioni, utilizzati quali slogan commerciali, indicazioni di qualità o espressioni incitanti ad acquistare i prodotti o i servizi cui detto marchio si riferisce, secondo la giurisprudenza comunitaria la registrazione non deve ritenersi esclusa in ragione di una siffatta utilizzazione (Corte di giustizia, 4 ottobre 2001, C-517/99, punto 40; Corte di giustizia UE, 21 ottobre 2004, C-64/02, punto 41; Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C-139/16, punto 28), ma ai fini della registrazione devono essere utilizzati gli stessi criteri selettivi utilizzati per altri tipi di segni (Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C-139/16, punto 28).

Secondo la Corte di Cassazione quindi, la registrazione di uno slogan non può, dunque, essere esclusa a causa del suo uso elogiativo o pubblicitario, ma il segno deve, comunque, essere percepito dal pubblico di riferimento come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti e dei servizi da esso designati.

La connotazione elogiativa di un marchio denominativo, quindi, non esclude che quest’ultimo sia comunque adatto a garantire ai consumatori la provenienza dei prodotti o dei servizi a cui fa riferimento. (Corte di giustizia UE, 6 luglio 2017, C139/16, punto 29).

Secondo la Corte, da tali considerazioni deriva che la sola qualificazione di un messaggio come sloganpubblicitario non comporta automaticamente che tale slogan abbia anche quel carattere distintivo, proprio del marchio, carattere che deve essere accertato perché si compia una valida registrazione.

Con riferimento al caso specifico oggetto di ricorso la Corte ritiene condivisibile la decisione della Commissione dei Ricorsi che aveva accertato, applicando i parametri sopra riepilogati, che lo slogan di cui si chiedeva la registrazione era privo di carattere distintivo, ritenendo che le espressioni usate non fossero in grado di ricondurre proprio alla impresa che ne aveva chiesto la registrazione.

In conclusione la Corte pronuncia un chiaro principio di diritto “in tema di marchio d’impresa, l’imprenditore ha diritto alla registrazione anche di uno slogan pubblicitario, ma l’espressione contenente il messaggio promozionale deve adempiere alla finalità distintiva ossia essere idoneo a distinguere i prodotti o i servizi offerti da quell’impresa”.

La decisione delle Corte risulta quindi importante perché chiarisce che è possibile, anche nel nostro ordinamento, la registrazione dello slogan pubblicitario/pay-off quale marchio. In altri termini i segni, le indicazioni e le espressioni incitanti ad acquistare prodotti o servizi, secondo la sentenza, non possono essere esclusi dalla registrazione come marchio per il solo motivo dell’uso che il richiedente ne fa o intende farne e in particolare per il loro carattere elogiativo o pubblicitario, a condizione però che tali espressioni sia dotate di carattere distintivo e siano in grado di identificare i prodotti o servizi offerti dall’impresa.

In conclusione, sebbene la Corte abbia rigettato il ricorso proposto dalla società, la sentenza in commento risulta di particolare interesse per le imprese italiane perché ammette espressamente la registrazione in Italia dello slogan pubblicitario e del pay-off quale marchio e fornisce precise indicazioni in merito ai requisiti che tali segni distintivi devono possedere per poter essere legalmente registrati.

Cassazione n. 37697 del 23 dicembre 2022

Avv. Francesco Pozziani – avvpozziani@casaeassociati.it



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