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LA DETERMINAZIONE DELLA CLAUSOLA PENALE E IL POTERE DI RIDUZIONE DELLA STESSA DA PARTE DEL GIUDICE 

Con la sentenza n. 26901 del 20 settembre 2023 la Corte di Cassazione torna a valutare il potere d’ufficio spettante al Giudice ex art. 1384 c.c. di revisione della clausola penale contrattualmente stabilita dalle parti, individuando i criteri di riferimento che devono essere posti a fondamento dell’esercizio di tale potere.

Come noto, l’inserimento della clausola penale all’interno di un contratto produce l’effetto di predeterminare la prestazione dovuta in caso di inadempimento o ritardo nell’adempimento di una delle parti, esonerando il contraente adempiente dal dover dimostrare il valore del danno patito al fine di ottenere il risarcimento. La clausola penale ha altresì l’effetto di limitare il risarcimento alla sola prestazione predeterminata a titolo di penale, qualora le parti non abbiano espressamente convenuto la risarcibilità del danno ulteriore.

Accade spesso che le parti contrattuali inseriscano nei contratti clausole penali che prevedono il pagamento di un importo molto elevato, pensando che la previsione di tali penali agevoli la parte adempiente all’ottenimento del risarcimento in caso di eventuale inadempimento della controparte.

È necessario tuttavia prestare estrema attenzione alla modalità di determinazione della clausola penale e della relativa quantificazione del valore della stessa.

L’art. 1384 c.c., infatti, consente al Giudice di ridurre l’importo dovuto a titolo di penale, anche senza che la riduzione venga espressamente richiesta dal soggetto tenuto a pagarla, non solo se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte, ma anche se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto riguardo sempre all’interesse che il creditore aveva all’adempimento.

Tale potere officioso di rideterminazione del valore della penale è stato oggetto di una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, la n. 26901 del 20 settembre 2023 che ha delineato i criteri che deve seguire il Giudice nell’esercizio del richiamato potere.

In particolare il caso di specie era il seguente. Nel corso di una controversia giudiziaria Tizio concludeva una transazione con Caio e Mevio, in base alla quale questi ultimi si impegnavano a corrispondere a Tizio la somma di 700 mila dollari in due rate: la prima, di 260 mila, entro il 30 giungo 2011 e la seconda, di 440 mila, entro il 30 settembre 2011. Nell’accordo veniva inserita una clausola penale secondo cui “in caso di ritardato o mancato pagamento, anche di una sola rata ed anche per un solo giorno, era convenuto il pagamento di una somma pari a 350 mila dollari”. La rata finale veniva accreditata a Tizio il 5 ottobre 2011. Tizio, a fronte del ritardato pagamento attivava la clausola penale, ottenendo decreto ingiuntivo esecutivo per il pagamento della relativa somma.

La causa dopo i primi due gradi di giudizio giungeva al vaglio della Cassazione. Per quanto di interesse, uno dei motivi di impugnazione proposto dai debitori riguardava la legittimità della clausola penale prevista dalle parti.

Sul punto la Corte di Cassazione si pronunciava come segue. La clausola stabilita dalle parti prevedeva una penale di 350 mila dollari, anche per il ritardo di un giorno, ossia una somma di penale pari alla metà dell’intero debito. La Corte prendeva le mosse dal previgente orientamento giurisprudenziale secondo cui “il criterio cui il giudice deve porre riferimento per esercitare il potere di riduzione della penale non è la valutazione della prestazione in sé astrattamente considerata, ma l’interesse che la parte ha, secondo le circostanze, all’adempimento della prestazione cui ha diritto, tenendosi conto delle ripercussioni dell’inadempimento sull’equilibrio delle prestazioni e della sua effettiva incidenza sulla situazione contrattuale concreta” (Cass. 7835/2006; Cass. 10626/2007; Cass. 7180/2012).

La Corte precisava quindi l’estensione del potere officioso di riduzione della penale spettante al Giudice stabilendo che lo stesso “non è impedito dall’accordo delle parti circa l’irriducibilità della penale stessa, né dalla circostanza, come in questo caso, che le parti abbiano definito equa la penale: sono circostanze che non vincolano il giudice”.

La Corte individuava inoltre i presupposti che devono essere considerati dal Giudice al fine di provvedere ad una equa riduzione della penale, stabilendo il seguente principio di diritto “il giudice di merito deve tener conto non tanto, come si è detto, degli effetti che il pagamento della penale può avere sul patrimonio del debitore, ma se essa è giustificata alla luce dell’interesse del creditore, ossia se il ritardo nel pagamento ha costituito per il creditore un danno tale da richiedere di essere compensato con una penale di 350 mila dollari -pari alla metà dell’intero debito- per un solo giorno di ritardo”.

A livello teorico la pronuncia in commento conferma come l’istituto della penale sia ad oggi una delle rare fattispecie previste dall’ordinamento rispetto alla quali è consentito al Giudice di incidere sul rapporto contrattuale, superando la volontà delle parti.

La sentenza conferma come, con riferimento alla clausola penale, il Giudice abbia il potere-dovere, in nome degli ideali di giustizia materiale e equità contrattuale: (i) di superare il mito ottocentesco della insindacabilità della volontà delle parti, considerato che il potere di revisione del Giudice non è impedito dall’accordo delle parti nemmeno qualora le parti abbiano espressamente definito equo il valore della penale (ii) di verificare l’equità economica del contratto di scambio intervenendo sullo stesso fino a correggerlo a tutela della solidarietà tra privati per impedire ingiustificati arricchimenti o pene contrattuali slegate dal parametro dell’equilibrio.

A livello pratico, appare doveroso consigliare, nel caso di inserimento di clausola penale nel dettato contrattuale, di determinare la quantificazione della stessa alla luce dei principi sopra esposti, evitando penali eccessivamente onerose o slegate dall’effettivo interesse contrattuale. Come visto, infatti nemmeno l’espresso e specifico accordo delle parti sulla quantificazione della penale e sulla natura equa della stessa risulta intangibile dal potere di revisione del Giudice, ex art. 1384 c.c.

Avv. Francesco Pozziani – avvpozziani@casaeassociati.it



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