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CONCORRENZA SLEALE: L’AMMINISTRATORE DI UNA SOCIETÀ È RESPONSABILE?

Con la sentenza n. 12092 dell’8.05.023 la Corte di Cassazione ha osservato come anche l’amministratore di una società è responsabile di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. 

Nel dirimere una controversia in relazione allo storno di 180 tassisti da parte di una cooperativa, attraverso l’invio di una comunicazione per metterli al corrente del non veritiero mutamento di sede della società di cui erano membri, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in tema di concorrenza sleale dell’amministratore di una società.

Va osservato che la comunicazione in questione, decisiva per il passaggio in blocco dei 180 soci da una cooperativa all’altra e dell’appropriazione dei dati di titolarità della cooperativa, è stata trasmessa proprio dal socio, nonché amministratore (nel caso di specie, vice presidente) della società cooperativa. I tassisti sono stati “trasmigrati” presso la sede della società concorrente.

Ai fini dell’applicabilità della disciplina della concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c. devono ricorrere due presupposti, l’uno relativo ai soggetti interessati e l’altro relativo alla relazione tra loro: la qualifica di imprenditore sia del soggetto avvantaggiato dall’atto di concorrenza – il soggetto attivo, sia del soggetto danneggiato dall’atto di concorrenza, definibile come soggetto passivo. E la sussistenza di un rapporto di concorrenzialità tra soggetto attivo e soggetto passivo, tale per cui il primo con la propria condotta contraria ai principi di correttezza, può causare un danno al secondo.

La giurisprudenza di merito ha affermato diverse volte la responsabilità della società per gli atti compiuti dall’amministratore, considerato il rapporto organico e la valenza funzionale dell’atto al perseguimento dell’interesse della società. Ma questa volta la Corte di Cassazione ha svolto un passo ulteriore.

In linea di principio, la concorrenza sleale costituisce fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, sicché non è ravvisabile ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto “rapporto di concorrenzialità”; tuttavia, l’illecito non è escluso se l’atto lesivo sia stato posto in essere da un soggetto (il cd. terzo interposto), che agisca per conto di un concorrente del danneggiato poiché, in tal caso, il terzo responsabile risponde in solido con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta, e, se il terzo sia un dipendente dell’imprenditore che ne ha tratto vantaggio, quest’ultimo ne risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c., ancorché l’atto non sia causalmente riconducibile all’esercizio delle mansioni affidate al dipendente, risultando sufficiente un nesso di “occasionalità necessaria” per aver questi agito nell’ambito dell’incarico affidatogli, sia pure eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni o all’insaputa del datore di lavoro.


Quando invece l’atto di concorrenza sleale sta stato compiuto da chi non sia dipendente dell’imprenditore che ne beneficia, la responsabilità dell’impresa concorrente viene affermata sulla base della regola dell’art. 2598 c.c., che qualifica illecito concorrenziale anche l’avvalersi “indirettamente” di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale, laddove, pur in assenza di una partecipazione anche solo ispirativa, l’atto corrisponda all’interesse dell’imprenditore, sempre che il terzo si trovi con il primo in una relazione tale da qualificare il suo agire come diretto ad avvantaggiare l’imprenditore della concorrenza sleale.

Ne consegue che l’imprenditore è in tali casi responsabile per gli atti di concorrenza sleale compiuti da terzi, che – pur non operando nel quadro di un rapporto di diretta subordinazione e/o direzione con l’imprenditore – cooperino ad altro titolo con l’imprenditore stesso e, in tale qualità, realizzino l’atto concorrenzialmente sleale. In tali casi, la responsabilità dell’imprenditore si fonda sull’art. 2598 n.3 c.c., ai sensi del quale l’imprenditore è responsabile per concorrenza sleale anche se si avvale indirettamente di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale.

La Cassazione, confermando la sentenza della Corte di appello di Roma (n. 5501/2019) ha ribadito la responsabilità, a titolo di concorrenza sleale, anche dell’amministratore. Infatti, anche il terzo interposto può essere responsabile per gli atti di concorrenza sleale, pur non rivestendo la qualifica di imprenditore né di concorrente dell’impresa che ha subito il danno. Resta inteso che, requisito essenziale affinché ciò accada è la sussistenza di una relazione tra il terzo autore materiale dell’atto e l’imprenditore avvantaggiato dell’atto, ai danni ovviamente del concorrente.

Evidenzia la Corte come nel caso di condotta posta in essere da un soggetto terzo diverso dagli imprenditori concorrenti, non è necessaria la dimostrazione della colpa nella commissione della condotta stessa e che, affinché la commissione del fatto lesivo della concorrenza da parte del terzo abbia rilievo ex artt. 2598 c.c. e segg., è necessario dimostrare l’esistenza di una relazione di interessi tra l’autore dell’atto e l’imprenditore avvantaggiato. In tal senso, resta chiaro che, sulla base del rapporto che lega l’amministratore alla società e stante la valenza funzionale dell’atto al perseguimento dell’interesse sociale, anche l’amministratore è chiamato a rispondere di concorso nella concorrenza sleale in qualità di terzo interposto.

Di conseguenza, di concorrenza sleale rispondono in via solidale la società che ha tratto vantaggio dagli atti illeciti, e anche il suo amministratore.

Cassazione Civile, Sez. I, 8 maggio 2023, n. 12092

Avv. Federica Fratello – avvfratello@casaeassociati.it



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